Anche questo assioma è nato durante una delle innumerevoli chiacchierate col mio amico Luciano. Il casus belli era una discussione su Facebook riguardo all’importanza di Frank Zappa nella storia della musica che era rapidamente degenerata in quanto evidentemente ci sono alcuni personaggi che non possono essere criticati. Non entro nel merito dell’argomento ma era particolarmente odioso il fatto che le obiezioni più stupide e superficiali venivano da una persona che conosciamo, musicista affermato e decisamente bravo.
A questo punto il ragionamento si è spostato su quanto nella vita fosse importante lo studio e l’ambiente familiare. Io sono un privilegiato, non lo nego. Sono nato in una buona famiglia e non ho mai dovuto lottare per poter mangiare, anzi. I miei hanno permesso a me e alle mie sorelle di studiare fino alla laurea. Senza di loro avrei sicuramente smesso molto presto per lavorare, suonare etc.
Posso capire perfettamente la frustrazione di una persona che non ha avuto la possibilità di completare gli studi. Magari perché non ne aveva le possibilità oppure (decisamente peggio) perché ai suoi genitori non sembrava importante che arrivasse al famoso “pezzo di carta”.
Certo, è molto più triste veder sprecata una persona che aveva stoffa per qualcosa e che non ha avuto la voglia di mettere a frutto le proprie capacità. E non sto mica parlando di cultura, eh? Alla fine chi se ne frega di quante cosa hai studiato. Io invecchiando sposo sempre di più la famosa frase di Salvemini: “La cultura è ciò che resta dopo che hai dimenticato tutte le nozioni”. Sì, lo so. È probabile che l’abbiano pronunciata più o meno identica anche Burrhus Skinner ed Ezra Pound. Ma è proprio questo il punto, in questo preciso momento non mi interessa mentre vent’anni fa era per me più importante.
Probabilmente ho solo fatto di necessità virtù, dato che sinceramente ho studiato parecchio ma non mi ricordo più un tubo di nulla. E insieme ai film e ai libri mi sto anche scordando interi secoli di Storia. Però mi sembra di riuscire a distinguere meglio “nozioni” e “cultura”. Mi pare che la parte negativa del tipo di istruzione che ho ricevuto in gioventù (che grazie a Dio era ben bilanciata da quella positiva) sia stata ormai superata.
E non solo dalla mia esperienza di vita ma anche dalle grandi rivoluzioni tecnologiche che sono avvenute negli ultimi 25 anni. Quando mia sorella mi ha regalato nel 1997 il primo cellulare io avevo già cambiato facoltà da Giurisprudenza a Lingue, avevo interrotto gli studi e stavo dando nuovamente esami ma a Lettere Moderne. In quel periodo si viveva coi floppy, Windows 95, monitor CRT 14”, porte parallele e seriali e il sogno era un processore a 200 Mhz. Internet in casa era orribile, ci voleva un account a pagamento, ogni ora di connessione costava circa mille lire. Io avevo un discreto modem che andava però circa 1800 volte più lento rispetto alla mia connessione attuale.
Capirete che, in queste condizioni, cercare la risposta a un dubbio su web non era proprio una passeggiata. Anche perché Google non esisteva ancora e quindi se non avevi il libro giusto in casa era più probabile telefonare a un amico (ovviamente al fisso, sperando che non fosse uscito) e fare a lui la domanda. Sarà anche per quello, forse, che la nostra memoria funzionava meglio. Io sapevo a memoria un centinaio di numeri di telefono mentre adesso mi ricordo il mio solo se non sono alla terza Guinness.
Diciamo quindi che il concetto di cultura (ma anche di nozione, studio, ricerca, tesi, relazione) era in effetti diverso. E stiamo parlando solo di un quarto di secolo fa. Oggi possiamo sapere praticamente tutto in tempo reale anche se questo ci porta al problema toccato a proposito dell’assioma 15 su quanto superficiale e illusoria sia la conoscenza di un argomento anche (specialmente?) dopo una bella ricerca su internet.
Comunque, sorvolando sull’evoluzione del concetto di cultura, credo che siamo tutti d’accordo sul fatto che puoi essere dotto quanto ti pare ma puoi contemporaneamente anche essere imbecille. Non sono due cose incompatibili, fanno riferimento a due ambiti diversi. Certo, aver studiato aiuta ma non è sufficiente.
Dal punto di vista della famiglia, poi, devo dire che ho conosciuto gente che non aveva alcun problema in casa (con genitori che li aiutavano e che stavano loro vicino, un clima sereno, nessun problema economico importante) e che è finita davvero malissimo mentre altri individui con situazioni agghiaccianti che, al contrario, sono diventate ottime persone.
Anche la famiglia è importante, è importantissima ma non è sufficiente. Ci sono troppe eccezioni, è impossibile stabilire una regola perché le variabili sono tantissime e spesso l’essere umano è più imprevedibile di quanto la nostra vita di social media managertrategistgurucometipare vorrebbe farci credere.
Ma se sei un cretino resti un cretino. So che dovrei dilungarmi sulla complessità della definizione di “intelligenza” ma non ne ho il tempo, lo spazio e soprattutto la voglia. Conto ottimisticamente sul fatto che chi sta leggendo possa avere un paio di neuroni funzionanti e possa arrivare da solo a capire cosa normalmente si intende quando si definisce “intelligente” qualcuno.
Dicevo: se sei un cretino, resti un cretino. Puoi essere un cretino che conosce la Divina Commedia a memoria o un cretino che suona il pianoforte come Liszt o un cretino che lavora come ingegnere aerospaziale alla NASA o un cretino che progetta ponti sospesi nel mondo o un cretino che parla sette lingue ma sarai sempre un cretino.
Ne consegue incontrovertibilmente che l’intelligenza prescinde dallo studio e dalla famiglia che ti ha cresciuto, anche se aiutano. Se sei un coglione, sei un coglione.
Tratto da “Quarantotto Assiomi Cinici“