Cambiare o non cambiare (smartphone)?

Chi per moda e chi per necessità, oggi quasi ognuno di noi ha almeno uno smartphone all’interno della propria abitazione. Ma quel che spaventa ognuno di noi, molto spesso, è il passaggio da un sistema ad un altro con tutte le implicazioni che un’eventuale cambio di piattaforma comporta.

Personalmente, ho sempre cambiato il telefono prima che questi arrivasse ad un punto tale di svalutazione da obbligarmi a dover aggiungere una grossa somma per l’acquisto di un nuovo modello. Ma spesso, le vicissitudini quotidiane, portano a dover convivere con lo stesso oggetto per molti più mesi di quanti in passato non avrei affrontato.

Oggi, da falice possessore di un Nexus S, mi si ripresenta l’occasione di cambiare terminale. Vuoi per semplice curiosità, vuoi per puro vizio, metto in vendita lo smartphone per cambiare, principalmente, interfaccia.

Android, si sa, è un sistema talmente aperto da consentire l’installazione praticamente di qualsiasi tipo di personalizzazione. Quanto questa sia poi ergonomica poco importa, in alcuni casi: l’importante è stupire gli amici. Spesso, però, ci si rende conto che quel desiderio di stupore indotto nel prossimo si trasforma in stupore personale nei confronti del nuovo “balocco” tecnologico.

Non necessariamente deve essere l’ultimo gioiello messo in commercio, ma basta che si approcci ai nostri dati con una filosofia differente rispetto al modello che era in nostro possesso fino a qualche istante prima. Una diversa forma di fruizione dei contenuti e di aggregazione degli stessi all’interno di un’interfaccia che, in taluni casi, potrebbe essere definita perfetta.

Qualcuno di voi avrà capito che mi sto riferendo alla Sense di HTC, un vero e proprio layer che si frappone tra interlocutore e smartphone. Un layer talmente radicato nel sistema da richiedere la stesura di librerie apposite e che, in molti casi, è rimasto relegato a quella specifica marca, essendo praticamente impossibile un’opera di estrapolazione per passarlo su modelli differenti.

La Sense, è un qualcosa che a parole resta difficile da descrivere e spiegare; un tocco ed hai i tuoi contatti gmail con gli aggiornamenti social direttamente in rubrica, la galleria delle immagini contempla anche gli album online dei vari network supportati; gli aggiornamenti di stato arrivano in modalità push all’interno della scheda del contatto, mostrandoci cosa l’amico abbia inserito su FaceBook, LinkedIN, Twitter… Cose che sul Nexus S non posso avere, ma su un HTC sì.

Il Nexus S, è doveroso dirlo, è uno smartphone Google puro, senza personalizzazioni, senza “fronzoli”. Il suo scopo è quello di proiettarci all’interno del sistema Android pulito, che poi noi potremo personalizzare o meno. Talmente pura è l’esperienza che Google vuole portare ai suoi utenti, da lasciare la possibilità di sbloccare il bootloader con sole 2 righe di comando: questo permette di installare recovery personalizzate, rom modificate, avere i diritti di root, installare applicazioni che intervengono direttamente su parametri e file di sistema… Ma non ha la Sense.

Al di là di questo, Google ci ha abituati ad avere aggiornamenti tempestivi, update per falle di sicurezza in tempi record, e la certezza di essere i primi ad vederci comparire gli aggiornamenti ad una nuova versione. Un esempio eclatante è il Nexus ONE, ancora oggi un terminale impeccabile per prestazioni e longevità.

Ma la voglia di cambiare, spesso, è più pressante della voglia di aspettare un aggiornamento che porti una ventata di aria fresca al terminale. Nel caso mio, il tanto atteso aggiornamento ad Ice Cream SandWitch, dovrà probabilmente passare in secondo piano ed attendere che qualcuno su XDA si prodighi al porting del sistema verso altre piattaforma, precorrendo i tempi del produttore che, in taluni casi, sembrano rispettare i tempi di gestazione di un elefante.

Il backup dei dati è pronto, gli APK delle applicazioni sono salvati in una cartella apposita (questo mi consente di non doverli scaricare nuovamente dal market) e il software per ricollegarli al market è in attesa di fare il suo dovere. Rubrica, calendario, posta gMail non sono un problema e saranno riscaricati appena collegato alla rete. I dati sensibili sono salvati e criptati “in the cloud”, per le note ci pensa EverNote, mentre per i documenti c’è Google DOCS…

Ho preparato tutto, fino all’ultimo file, eppure qualcosa di mi trattiene…

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Lamberto Salucco

(Firenze, 1972) – Sono un consulente informatico (ma laureato in Lettere Moderne), mi occupo di marketing (ma solo digitale), social media (ma non tutti), editoria (ma non cartacea), musica (ma detesto il reggae), formazione (ma non scolastica), fake news (ma non sono un giornalista), programmazione (ma solo Python), siti web (ma solo con CMS), sviluppo app (ma solo iOS e Android), bias cognitivi (ma non sono uno psicologo), intelligence informatica (ma solo OSINT), grafica 3D (ma niente CAD), grafica 2D (ma niente Illustrator), Office Automation (ma non mi piace Access).