L’arte delle fregature – 2.02 – Effetto umorismo

Visto che nel capitolo precedente ho accennato all’umorismo, direi di continuare e di approfondire questo tema. L’effetto umorismo (humour effect) è il fenomeno per il quale ricordiamo più facilmente gli elementi che riteniamo umoristici rispetto a quelli che percepiamo come non umoristici.

Le cause possono essere molte, fra queste spesso vengono citati il tempo di elaborazione cognitiva per comprendere la parte umoristica, la voglia di scaricare stress e l’eccitazione che l’umorismo causa. In realtà, ridere fa scattare una reazione nel nostro corpo, ci fa stare bene perché arriva la dopamina (come col cibo buono, col sesso etc.) ed è una gran bella cosa, viva la dopamina.

Fra l’altro bisogna ricordarsi che l’umorismo fa molto bene anche all’attività didattica. Se ci si diverte mentre si impara si tende a ricordare meglio concetti e informazioni.

Ovviamente non è tutto oro quello che luccica. Ci sono aspetti positivi e negativi (ne abbiamo dato un piccolo esempio nel precedente capitolo), esistono in qualunque cosa che sia potente. E l’umorismo è potente.

 

L’effetto umorismo nel marketing

A noi piace ridere, alle aziende piace vendere e sanno che se ci fanno stare bene saremo più inclini a prendere decisioni che potrebbero portare a un acquisto.

Negli ultimi 70 anni, la televisione (ma anche la radio, i giornali, le riviste, i cartelloni) ci ha fornito centinaia di esempi di pubblicità che con l’umorismo hanno trovato la chiave per poter diventare indimenticabili. Certamente, da fuori sembra tutto molto semplice ma non lo è per niente. I gusti cambiano, la sensibilità cambia, una cosa che non osi abbastanza è talvolta inutile mentre per una che osi davvero potresti passare dei guai. Pensiamo a quanto si sia modificato nei decenni il nostro senso dell’umorismo, su quante cose si poteva ridere e scherzare (anche in modo molto pesante e pecoreccio), quante cose si potevano dire, come la coscienza degli utenti sia cambiata e con essa in parte anche il modo di divertirsi.

Non sono un grande fan di roba tipo cancel culture e di chi si lamenta continuamente con frasi tipo “non si può più dire nulla” o “era molto più divertente prima” che ritengo tristi e piagnone. È vero, oggi molte battute che sono entrate nella storia, per esempio, del cinema non sarebbero accettate e in alcuni casi rischierebbero addirittura conseguenze legali ma ricordiamoci anche che frasi come “si è sempre fatto così” (riflesso di Semmelweis?) o “ai miei tempi era meglio” nascondono spesso enorme ignoranza, riluttanza al cambiamento, voglia di non sottostare alle regole, memoria molto corta, stupidità, patetico machismo d’accatto, razzismo atavico, omofobia latente ma nemmeno troppo e mi fermo qui ma potrei andare avanti.

Comunque, il mondo è andato oltre TV e radio, sono arrivate email e social e il marketing si è adattato. L’umorismo ha giocato un ruolo abbastanza marginale nella comunicazione via posta elettronica, fatta eccezione per le catene di inoltri molesti a tema “gattini che scivolano sul ghiaccio”, “la migliore barzelletta di sempre” e altra robetta simile.

Ma per i social è tutta un’altra storia. Qualunque cosa faccia ridere viene condivisa senza pensarci troppo. Spesso è umorismo di bassa lega, battute sconce, scontate, fanno ridere solo persone semplici e senza pretese.

Talvolta però si incontrano veri e propri capolavori, anche di difficile comprensione, complessi, strutturati. In ogni caso, tutti hanno pane per i propri denti e sono estremamente orgogliosi e felici di essere i primi a far vedere ai propri contatti la battuta del secolo. O meglio: dell’anno, della settimana o del giorno vista la rapidità con la quale vengono girati questi contenuti.

Le aziende, ovviamente, non stanno a guardare e sfruttano la situazione. Non tutte, sia chiaro, non è una cosa adatta a qualunque brand ma negli ultimi anni anche settori insospettabili si sono buttati nella mischia. Battute, infografiche spiritose, meme, social media manager che fanno post autoironici e autobiografici. Tutto per continuare la “chiacchierata” coi clienti, per aumentare il numero di condivisioni, far girare il marchio.

Questo va benissimo ma può diventare un problema in casi specifici. L’effetto umorismo può mettere in ombra alcune caratteristiche del prodotto pubblicizzato e non sempre è una cosa voluta. Se è un effetto desiderato, può darsi che si punti alla comunicazione divertente per distrarre l’utente e non fargli notare imperfezioni che potrebbero scoraggiarlo dall’acquisto.

Qualora invece si tratti di un effetto collaterale indesiderato, potrebbe essere controproducente. Perché il cliente potrebbe ricordare lo spot che lo ha fatto ridere tanto ma senza identificarlo con il prodotto che si voleva promuovere.

Pensiamo anche a casi di marketing fatto appositamente in modo esagerato, sopra le righe, eccessivo. E che può strutturare la comunicazione con l’utente in modo non convenzionale.

Si può dire tutto, a quel punto, anche troppo. Viene in mente il pagliaccio di corte che poteva prendere in giro addirittura il re, senza rischiare la pelle. Tanto scherza, lui può.

Però questo giochino al rialzo non può essere infinito, no? Voglio dire che a un certo punto esisterà un limite, un punto in cui hai già fatto tutto il possibile. E a quel punto cosa succederà? Forse non lo vedremo mai perché, come già detto, le nostre abitudini stanno cambiando, sono già cambiate. Alcuni di questi cambiamenti sono un po’ più repentini (e allora ce ne accorgiamo e bofonchiamo perché siamo vecchi) ma tutti gli altri sono lenti, graduali e ci fregano alla stragrande. Non ci facciamo caso, proprio come col nostro viso che vediamo ogni santo giorno allo specchio. Ma tutto cambia.

 

L’effetto umorismo nella disinformazione

Come spesso accade, una cosa moderata va benissimo ma l’eccesso e l’abuso sono dietro l’angolo. E la disinformazione è eccessiva per definizione, è “il troppo” e “lo sbagliato” nello stesso momento.

Eviterò accuratamente di parlare dell’homo ridens che mette la risata sotto i post. Ne ho già parlato anche troppo per ciò che merita, quello non è umorismo ma demenza.

È invece importante focalizzarsi sulle cose vere, sulle fregature reali. Per esempio, occorre stare molto attenti ai siti satirici (me ne vengono in mente diversi ma non li citerò) che sfornano in continuazione fake news divertenti con lo scopo di far ridere ma che possono essere fraintesi e presi per fonte affidabile di notizie. Qui lo scopo è divertire e intrattenere. Ma se qualche imbecille crede davvero a ciò che viene pubblicato e inizia a condividere le “notizie” in questione può diventare un problema.

Lo stesso dicasi per gli account social parodia di persone famose (attori, musicisti, presentatori, imprenditori, sportivi, influencer) che per suscitare ilarità scrivono le più strambe stupidaggini. Poi arriva il genio che condivide berciando “Lo ha detto anche lui!

Ormai lo sanno tutti!” oppure “Guardate che schifo! Non si nascondono nemmeno più!” e a te crolla anche l’ultima briciola di fiducia nell’umanità.

Ma le fake news possono riguardare infiniti argomenti ed essere fatte circolare in infiniti modi. Ci sono i sempreverdi video oppure i meme che fanno sorridere e che la gente condivide ingenuamente coi propri amici, non pensando che statisticamente almeno il 10% di quegli amici è stupido e crederà a ciò che vede. Ci sono i falsi annunci di prodotti inesistenti che non usciranno mai o di prodotti reali ma che sono descritti con dati assolutamente farlocchi.

Rientrano in questo discorso anche le cosiddette Fake Trend Challenges ovvero sfide o trend online che non sono veri ma che raggiungono (o cercano di farlo) la viralità. Una volta creati, gli vengono associate varie forme di disinformazione che li sfruttano per diffondersi.

Riguardano molti argomenti ma i più gettonati sono raccolte fondi, diete o alimenti particolari, comportamenti pericolosi per l’utente o rituali.

Per le false challenge si creano anche hashtag ad hoc per dare l’idea di una viralità già raggiunta e per monitorare la diffusione della sfida. Ma è possibile anche che persone deboli, soprattutto giovanissimi, ci caschino e vengano danneggiati in modo anche serio.

 

L’effetto umorismo nella vita sentimentale

Dell’effetto umorismo negli affari di cuore ho finito per parlare già alla fine del capitolo precedente quindi non mi dilungherò molto. Mi limiterò a elencare qualche esempio che mi sembra interessante.

Certo, l’umorismo nella coppia è fondamentale (“Falle ridere!”) sia nella fase della conquista sia in quella dell’innamoramento vero e proprio. È infatti importante ridere e ridere insieme quindi ben vengano cose che dovrebbero essere serie ma che invece suscitano il riso, siano esse dichiarazioni o proposte di matrimonio, discorsi, album fotografici etc.

Ma facciamo anche qualche rapido esempio di manipolazione che può essere messa in pratica mediante l’effetto umorismo.

Ci sono quelli che saltano continuamente da un registro serio a uno ironico, senza comunicarlo mai. In questi casi diventa difficile capire se la persona sta parlando seriamente oppure no. Questo aumenta la nostra incertezza e ci espone di più al fraintendimento volontario o involontario. Infatti, oltre a non sapere mai cosa passa per il capo dell’altro, può capitare che a forza di tirare la corda si rimanga offesi per un gioco di parole o per una battuta di troppo che ha passato il limite. Ma è difficile anche capire quale sia il limite da non passare se si fanno battute tutto il giorno. E se non c’è un vero interesse a non urtare i sentimenti altrui, no?

E poi, l’umorismo può anche essere usato per evitare i discorsi seri. Lo so, tutti odiano i discorsi seri tipo “Dobbiamo parlare” però anche scappare sempre non è purtroppo una grande soluzione, prima o poi le questioni vanno affrontate.

Infine, l’umorismo può anche essere utilizzato per nascondere i propri problemi o per evitare l’intimità emotiva. Talvolta, infatti, l’umorismo viene utilizzato come un’arma, come una distrazione dalla necessità di instaurare un rapporto più profondo nel quale ci si dovrebbero confessare emozioni che non sempre siamo disposti o pronti a condividere con l’altro.

E non sono belle premesse. Sono situazioni che spesso infatti portano a relazioni tossiche.

 

 

Estratto da “L’arte delle fregature” di Lamberto Salucco

Link per l’acquisto su Amazon

Pubblicato "L'arte delle fregature - Prima Parte" di Lamberto Salucco - Rebus Multimedia

 

Altri articoli con tag simili

Pillole di Excel – 11 – Somma.se

SOMMA.SE E se invece di contare le celle che corrispondono a un certo criterio volessimo...

Metempsicosis – di Michele Ermini

Edida annuncia che è finalmente uscito Metempsicosis, il libro di Michele Ermini relativo all'omonimo...

Assioma n° 6 – Televisione – 27/02/19

Ecco, ora mi attirerò anche le ire di qualche amico. Uno dei tratti distintivi del...

L’arte delle fregature – 1.05 – Effetto del contesto

Questo tipo di distorsione cognitiva (effetto del contesto, context effect) riguarda il modo in...

Supermegaboy – Ep. 27: “Lo spettacolo più grande del mondo”

Era un pomeriggio di metà autunno a Firenze City, quando Supermegaboy e Adalberto Nabucco...

Anche “Nuova ECDL 6” su Google Play!

E oggi è arrivata su Google Play anche "Nuova ECDL 6" per dispositivi Android....
spot_img

Lamberto Salucco

(Firenze, 1972) – Sono un consulente informatico (ma laureato in Lettere Moderne), mi occupo di marketing (ma solo digitale), social media (ma non tutti), editoria (ma non cartacea), musica (ma detesto il reggae), formazione (ma non scolastica), fake news (ma non sono un giornalista), programmazione (ma solo Python), siti web (ma solo con CMS), sviluppo app (ma solo iOS e Android), bias cognitivi (ma non sono uno psicologo), intelligence informatica (ma solo OSINT), grafica 3D (ma niente CAD), grafica 2D (ma niente Illustrator), Office Automation (ma non mi piace Access).
 

Forse ti potrebbe interessare anche: