L’arte delle fregature – 2.03 – Bias di Von Restorff

E passiamo al cosiddetto bias di Von Restorff (Von Restorff effect) detto anche “effetto isolamento” o “effetto stranezza”. Questo bias è collegato al fatto che una persona può mantenere nella memoria breve solo poche e selezionate informazioni. Ne consegue quindi che una cosa che risalta o che è diversa dalle altre si ricorda meglio.

Dobbiamo sempre contestualizzare le scoperte, a volte siamo superficiali e tendiamo a pensare che il mondo sia sempre stato come lo conosciamo oggi. Eppure, basterebbe solo pensare che, per esempio, quando nel 1972 sono nato io, in Italia esistevano solo due canali televisivi, il secondo dei quali trasmetteva solo dalle 18:30 in poi. Voglio dire che non possiamo guardare al passato leggendolo con gli occhi di oggi. Affermare che una cosa diversa si ricorda meglio può far sorridere nel 2024 ma un secolo fa non era affatto scontato.

L’esempio classico che si fa dell’effetto Von Restorff è che all’interno della lista di termini “cuscino”, “materasso”, “federa”, “transatlantico”, “lenzuolo”, “coperta” si ricorda meglio “transatlantico” perché è diversa dagli altri termini tutti associati all’azione del dormire.

 

Il bias di Von Restorff nel marketing

Qui la questione è decisamente semplice. Tutti i brand vogliono essere “diversi”, tutte le persone vogliono essere “originali”, non esiste una sola attività umana che non contempli il desiderio o il tentativo di essere “unica”. È una cosa che si verifica nel mondo dell’arte e della creatività in generale, nel mondo dell’industria, della gastronomia, della comunicazione. Perché non dovrebbe essere lo stesso per il mondo del commercio?

Stai creando la confezione per il tuo nuovo prodotto, immagino che tu voglia una cosa riconoscibile, dotata di personalità. Immagino anche che il tuo desiderio sia di fare qualcosa che lasci il segno, qualcosa che non richiami nient’altro ma che verrà magari un giorno imitato, copiato da altri. Perché è proprio quella la confezione che spiccherà sullo scaffale di un negozio.

Ed è la stessa cosa per un logo particolarmente colorato o per il nome di un prodotto che non sia affatto ordinario, magari che contenga un gioco di parole, meglio se un po’ ardito. E potremmo continuare con:

  • i jingle riconoscibili
  • le mascotte che entrano nell’immaginario collettivo
  • i claim che fanno storia
  • i negozi che decidono di creare un’esperienza unica per l’utente magari utilizzando profumi particolari o permettendo al cliente di personalizzare il prodotto.

D’altra parte, quando crei un prodotto di bellezza ci infili spesso uno o più ingredienti particolari, rari, inusuali, esotici. No? Poi quell’ingrediente diventerà un classico per quel tipo di prodotto e allora se ne troverà un altro. Oppure se ne inventerà di sana pianta un altro, magari poi dandogli un nome commerciale altisonante come è accaduto per il famoso Bifidus Actiregularis.

Si possono considerare in tema anche le attività di guerrilla marketing che rompono gli schemi abituali nei contesti urbani. Per esempio le strisce pedonali che vengono trasformate in patatine da McDonald’s o le campagne della panchina Kit Kat.

Nel mondo online spesso si parla di bias di Von Restorff per le scelte cromatiche nelle landing page dei siti web. Pulsanti e voci di menu messi in risalto usando colori dal forte contrasto oppure con dimensioni maggiori rispetto al resto dei contenuti che colpiscono l’utente e aumentano l’interazione.

 

Il bias di Von Restorff nella disinformazione

Poteva mancare l’effetto Von Restorff nel mitico mondo delle fake news? No, era ovvio. La difficoltà sta spesso nel riconoscerlo, nel distinguerlo dagli altri bias. Non è sempre possibile perché le distorsioni del cervello sono per il cervello complesse da districare (torna il ragionamento, no?) e a prima vista sembra anche un’operazione inutile. Perché dovrei perdere tempo a capire di quale bias sono vittima?

Non basta solo sapere di esserci cascato, dovresti approfondire anche perché ci sei cascato. È così che puoi iniziare a difenderti dai tuoi stessi cortocircuiti.

Comunque, vediamo di fare qualche esempio che possa riferirsi specificamente al Von Restorff in ambito disinformazione.

Una fake news associata a un’immagine molto forte può essere memorizzata più facilmente. Questo accade anche se testo e foto non c’entrano un tubo l’uno con l’altra, anche se la persona che legge non capisce il nesso fra i due elementi, anche se la notizia è inventata di sana pianta.

Anche prendere una frase (generalmente tagliata da un discorso più complesso e quindi ampiamente decontestualizzata), metterla fra virgolette (per dargli la dignità di parole uscite dalla sua bocca guarda che ha detto proprio così te lo giuro non me lo sto inventando affatto) e metterla in grassetto (perché guarda che la frase importante è questa puoi evitare di leggere tutto il resto tanto lo so che non hai voglia ma basta che ti impari questa frasina a pappagallo e la potrai spammare ovunque come risposta quando ti contesteranno qualcosa) è un esempio di Von Restorff. Perché piazzata così resta sicuramente più in testa.

Talvolta vengono studiati refusi o errori ortografici appositi per fare in modo che il messaggio non passi inosservato e per aumentare la possibilità che l’utente si ricordi ciò che ha letto. Va detto però che la maggior parte dei refusi e degli errori che si trovano a giro sono purtroppo dovuti al fatto che la gente è ignorante in modo disgustoso. E che non rilegge quello che scrive (t’immagini quello che copia e incolla a giro). “E comunque l’importante è il messaggio, professorone!”.

Teniamo comunque ben presente che il Von Restorff ha principalmente a che fare con la memoria. E col modo in cui il nostro cervello seleziona quello che merita di essere ricordato.

 

Il bias di Von Restorff nella vita sentimentale

L’effetto Von Restorff nella vita amorosa (e più in generale nella vita sentimentale) riguarda spesso il modo in cui una persona si fissa su un particolare comportamento o su un particolare avvenimento.

Pensiamo a una coppia che abbia vissuto la fase che io chiamo dell’innamoramento in modo particolarmente idilliaco. È possibile che il ricordo di quel periodo, radicato profondamente nella memoria, diventi un termine di paragone scomodo per la normale quotidianità che è fatta di fasi positive e di fasi negative, di gioie e di dolori, di successi e di fallimenti. Ma è anche possibile che uno dei partner utilizzi quel ricordo per manipolare l’altro e per distorcere la percezione che l’altro ha della relazione, continuando a fare riferimento a una “età dell’oro” che dovrebbe (nella sua testa) indorare qualunque pillola si debba ingerire da qui all’eternità.

Una cosa simile accade per i gesti eclatanti. Se io una volta all’anno, magari per l’anniversario, faccio una pazzia per amore e compio un gesto importante nei confronti del partner non sono certamente autorizzato poi a disinteressarmene per 364 giorni. E questo gesto eclatante non è certamente più importante di una serie di piccoli gesti di cura e affetto quotidiani che magari ricevo. Occorre una grande costanza e un vero sentimento per occuparsi di una persona ogni giorno. Mentre per fare una cosa esagerata semel in anno basta solo qualche soldo.

E cosa succede se abbiamo passato una splendida giornata in armonia, facendo cose interessanti, magari viaggiando, ridendo e scherzando ma poi a un certo punto si crea un attrito, viene fuori una discussione o un’incomprensione? Si rovina la giornata. Il conflitto si mangia le sensazioni positive e ci si ricorderà più di quello che del resto. Una singola cosa negativa che stona con le altre diventerà il ricordo che conta, ciò con cui potremmo identificare quella giornata.

E se state pensando che una pessima giornata possa essere salvata semplicemente da un singolo avvenimento positivo forse siete un po’ troppo ottimisti. Cioè: tutto è possibile, eh? Però aspetterei di leggere il sottocapitolo sul bias della negatività.

Come ultimo esempio vorrei citare una persona che ricorda perfettamente com’era la propria relazione anni prima. Siamo tutti coscienti del fatto che le cose cambiano, è una cosa naturale e va benissimo così. Ma, se abbiamo in mente un certo rapporto esattamente com’era all’inizio, potremmo commettere l’errore involontario (oppure volontario se vogliamo sfruttare la cosa per manipolare l’altro) di considerare le cose dopo tale cambiamento come “sbagliate” invece che semplicemente “diverse”.

E anche questo può essere un atteggiamento che non porta niente di buono.

 

 

Estratto da “L’arte delle fregature” di Lamberto Salucco

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Pubblicato "L'arte delle fregature - Prima Parte" di Lamberto Salucco - Rebus Multimedia

 

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Lamberto Salucco

(Firenze, 1972) – Sono un consulente informatico (ma laureato in Lettere Moderne), mi occupo di marketing (ma solo digitale), social media (ma non tutti), editoria (ma non cartacea), musica (ma detesto il reggae), formazione (ma non scolastica), fake news (ma non sono un giornalista), programmazione (ma solo Python), siti web (ma solo con CMS), sviluppo app (ma solo iOS e Android), bias cognitivi (ma non sono uno psicologo), intelligence informatica (ma solo OSINT), grafica 3D (ma niente CAD), grafica 2D (ma niente Illustrator), Office Automation (ma non mi piace Access).