L’effetto autoreferenzialità (self-reference effect) si riferisce alla nostra tendenza di immagazzinare informazioni in modo diverso se siamo coinvolti o no nella questione. In pratica ci ricordiamo meglio delle cose che ci riguardano rispetto a quelle che riguardano gli altri.
Per esempio, i compleanni. Pare strano ma se il tuo compleanno cade vicino al mio compleanno, è più probabile che me lo ricorderò rispetto a quello di altre persone.
Farei rientrare in questo effetto anche l’errore fondamentale di attribuzione (fundamental attribution error) ovvero la tendenza ad attribuire al comportamento degli altri una connotazione diversa rispetto al nostro.
Il classico esempio riportato ovunque è quello dei due automobilisti che sono bloccati nel traffico, entrambi hanno fretta e cercano in ogni modo di far passare la propria vettura. Ognuno vedrà la situazione in modo opposto. Penserà che l’altro si stia comportando in modo egoista e che l’altro avrebbe dovuto mettersi in viaggio con largo anticipo invece di provare a svicolare adesso. Al contempo però vedrà il proprio comportamento come normale, giustificato dal fatto che deve andare al lavoro, che ha un impegno importante, che deve prendere un treno. Giustificherò sempre me stesso ma non gli altri, io dovevo prendere l’auto e non gli altri, io faccio cose rilevanti e non gli altri, io ho il diritto di avere fretta e non gli altri.
L’effetto autoreferenzialità nel marketing
Qui la necessaria premessa è che ci sentiamo sempre importanti ma siamo una mandria di adulti che si comportano come ragazzini viziati e snob. È quindi normale che le aziende ci trattino come tali, solleticando il nostro ego in modo nemmeno tanto sottile. E noi? Che domande. Noi ovviamente ci caschiamo con tutti i piedi.
Basti pensare ai contenuti che ci vengono suggeriti (Netflix, Facebook, Instagram, Amazon, siti di e-commerce etc.) analizzando i precedenti acquisti e la cronologia di navigazione. Sono quasi sicuramente cose che ci piacciono o che ci interessano. O magari sono cose che ci piaceranno fra qualche mese, visto che gli investimenti sull’intelligenza artificiale servono anche (soprattutto?) a prevedere i nostri gusti futuri.
Un altro esempio sono le email personalizzate che riceviamo. Il fatto che ci sia scritto il mio nome, che abbiano pensato a un’offerta proprio per me e che mi si parli direttamente usando il “tu” (“Ci manchi, Lamberto!”) mi mettono in luce, mi pare di essere davvero importante, di essere considerato. Quindi ascolto di più, può darsi che non acquisterò quei prodotti ma senza queste personalizzazioni mi sa che non avrei nemmeno aperto la mail.
Secondo me rientrano in questo bias anche tutte le offerte che prevedono una personalizzazione del prodotto tipo “scrivi il tuo nome”, “costruisci il tuo X” e quelle che utilizzano testimonial normali, gente comune in cui mi posso identificare. E funzionano allo stesso modo anche i filmati amatoriali sui siti porno.
Ci sono studi che confermano l’incremento di vendite che si è verificato in Paesi dell’Estremo Oriente quando i modelli che indossavano un capo di abbigliamento avevano tratti asiatici. Altre ricerche hanno studiato la reazione del pubblico femminile alla presenza nelle pubblicità di fotomodelle magre, certificando che la reazione positiva proveniva in gran parte da donne che affermano di poter controllare il proprio peso senza grossi problemi.
Concludo con un esempio che ritengo rientri perfettamente in questo effetto, anche se non è universalmente acclarato. Le campagne pubblicitarie che puntano sulla nostalgia, sui bei tempi andati, sul “si stava meglio quando si stava peggio” in realtà stanno cercando di farmi ricordare com’ero io qualche anno fa, come ho già scritto in un altro libro. O meglio: come io penso di essere stato qualche anno fa. Non si tende alla verità ma alla percezione della verità.
L’effetto autoreferenzialità nella disinformazione
In questo ambito, spesso l’effetto di autoreferenzialità si combina con altri fattori per massimizzare le probabilità di successo e fregarci del tutto.
Penso alle famose e già citate echo chamber dove si frequentano e ci si relaziona solo con persone che la pensano come te, magari soffrendo delle stesse manie. Lì, come ho già premesso, è perfetto perché sono nella mia comfort zone, circondato da matti come me, leggo contenuti che ripetono cose delle quali sono già convinto, nessuno mi giudica un pazzo perché qui:
- siamo tutti pazzi della stessa pazzia
- sto benissimo
- mi sento considerato
- non ho alcuna voglia di uscirne
- mi convinco sempre più che quella sia la realtà
- mi convinco di aver scoperto come funziona davvero e di questo mi arrivano continue conferme da altri che si sono “risvegliati” esattamente come me.
Quando incontro gente che non vive in questo tunnel arredato, li derido perché sono certo che i pazzi siano loro.
Penso a vere e proprie campagne pubblicitarie di disinformazione organizzata in cui professionisti del settore possono segmentare il pubblico di persone dalla mente un po’ più fragile del normale, proprio come abitualmente si fa per le sponsorizzate sui social. Se identifico la tua teoria del complotto preferita posso far arrivare a te un messaggio personalizzato che sicuramente susciterà il tuo interesse. Si possono far arrivare questi contenuti anche tramite messaggio diretto, il che è praticamente il massimo per l’effetto di autoreferenzialità perché “Ma che bello! Stanno scrivendo proprio a me!”
Ci sono casi di fake news che riguardavano malattie gravi e che sono state condivise segmentando l’audience in base all’età e alla zona geografica. Una cosa tipo “Lo sapevi che questo tipo di tumore è in aumento nella città di Montecatini fra i sessantenni?”. Una cosa che farebbe incazzare chiunque viva a Montecatini e abbia circa sessant’anni, roba da galera istantanea.
Penso ai falsi oroscopi “personalizzati proprio per te” e alle bufale che rinforzano le credenze, facendo gruppo. Bufale come quelle su tradizioni e stereotipi, in Gruppi i cui membri sono in genere i primi a ragliarti contro, dandoti del servo allineato e schiavo del pensiero unico mentre è di tutta evidenza che il problema è che non sei allineato al loro pensiero unico.
Penso alle manipolazioni che sfruttano le insicurezze e le vulnerabilità personali per entrare in risonanza con le persone e per risultare più credibili, talvolta anche facendosi passare per fonti degne di fiducia.
In generale, si torna al buon vecchio “Noi e Loro” che funziona sempre. Io ti devo convincere che noi siamo Noi e che Loro (extracomunitari, ebrei, comunisti, buonisti, laureati, imprenditori, auto elettriche, medici, omosessuali o qualunque altra cosa gli venga in mente) sono i cattivi. Tu stai con Noi, non ti preoccupare, siamo i ganzi, noi abbiamo capito, gli altri no.
Un gran porcaio che già in passato ha portato a cose orribili e che non accenna a fermarsi nemmeno nel 2024.
L’effetto autoreferenzialità nella vita sentimentale
Qui sarò estremamente breve. Il problema risiede nell’egoismo e nel fare riferimento sempre e solo a sé stessi. L’effetto autoreferenzialità fa in modo che tutto ciò che si riferisce a noi sia percepito come più importante, più urgente, più memorabile.
E allora succede che noi diventiamo il centro di qualunque cosa, noi siamo il metro di giudizio degli avvenimenti. Se noi stiamo bene diamo per scontato che anche il partner stia bene. Se noi non stiamo bene pretendiamo che anche il partner non stia bene o che il suo livello di empatia e di comprensione nei nostri confronti sia totale.
Succede che se noi ci ricordiamo perfettamente una cosa, pretendiamo che anche il partner se la ricordi e attenzione. Deve ricordarsela perfettamente come ce la ricordiamo noi, nello stesso modo, negli stessi termini.
Se un’attrice, un pittore, un genere musicale ci colpisce e ci comunica determinate emozioni non ammettiamo che per il partner possa non accadere lo stesso.
A volte non è l’altro a mancare di empatia ma siamo noi che, senza accorgercene, ci chiudiamo in un guscio di autoreferenzialità. Questa è l’anticamera della tragedia. Due persone non stanno insieme perché sono identiche o perché uno deve per forza diventare la copia carbone dell’altro. Anzi: due persone stanno insieme con le proprie differenze, con le proprie caratteristiche ed è proprio tramite queste peculiarità che si riesce a migliorare sé stessi e gli altri.
L’arricchimento nasce dall’eterogeneità, dal confronto, dalla discussione. altrimenti è solo un’altra, ennesima echo chamber.
Estratto da “L’arte delle fregature” di Lamberto Salucco