“We notice things already primed in memory or repeated often” in italiano sarebbe “Notiamo cose che sono già impresse nella nostra memoria o che vengono ripetute spesso”.
Sì, ma di cosa si parla in questo libro? Si parla di bias cognitivi e di euristiche in tre diversi ambiti:
- il marketing (volutamente generico, può riguardare la comunicazione, il copywriting e altro)
- la disinformazione (fake news e complottame vario)
- la vita sentimentale (vita di coppia, sesso etc).
I bias cognitivi e le euristiche sono elementi della psicologia cognitiva e del processo decisionale umano. Il nostro mondo è troppo complesso, incasinato e noi abbiamo sempre meno tempo e voglia di analizzare e di capire. Il nostro cervello, quindi, sviluppa strategie per semplificare e per fornire risposte rapide agli stimoli. E fin qui tutto bene ma queste strategie possono portare a deviazioni dalla razionalità, ai bias cognitivi e all’uso delle euristiche.
I bias cognitivi possono essere definiti infatti come deviazioni dalla razionalità che influenzano la memoria, la percezione e le decisioni. Le euristiche sono invece regole mentali rapide (però approssimative) che possono semplificare il processo decisionale.
Sono in pratica scorciatoie cognitive che si rivelano spesso utili ma anche fonte di errori quando vengono applicate male.
In questo primo capitolo vedremo una serie di bischerate che il nostro cervello fa con una certa frequenza. Ricordatevi che nessuno è immune ai bias cognitivi. Anzi: uno dei bias più diffusi è proprio quello che ti convince di non avere bias, ne parleremo nel quinto capitolo.
Vedremo ora l’euristica della disponibilità e i ricordi facili da riacchiappare, la distorsione dell’attenzione e i pensieri ricorrenti, l’effetto illusorio di verità e le cose ripetute, il mero effetto di esposizione e il concetto di familiarità, l’effetto del contesto e i fattori ambientali, la dimenticanza dipendente dai segnali e la memoria per associazione, la memoria dipendente dallo stato e i ricordi secondo l’umore, l’illusione di frequenza e l’euristica dell’influenza, il divario di empatia e la forza dei sentimenti, la distorsione da omissione e le inazioni dannose, la fallacia della base rate e i casi specifici.
1.01 – Euristica della disponibilità
E iniziamo subito col botto: l’euristica della disponibilità.
L’euristica della disponibilità (availability heuristic) è un bias cognitivo che influisce sul modo in cui prendiamo decisioni basate sulla facilità con cui possiamo recuperare informazioni dalla nostra memoria. In buona sostanza, tendiamo spesso a sovrastimare la probabilità di cose ed eventi che sono più facilmente accessibili oppure ricordati, trascurando in genere la valutazione obiettiva delle reali probabilità o frequenze di tali eventi.
Questo fenomeno si basa sul fatto che, se ci chiedono di valutare la probabilità di un evento, noi andiamo a pescare nella nostra memoria personale, prendendo in considerazione gli avvenimenti che sono immediatamente disponibili e ricordabili.
Questo modo di procedere può essere soggetto a distorsioni in base a diversi fattori. Per esempio con quanta emozione ricordiamo una certa esperienza oppure quanto recente è l’avvenimento.
Gli esempi generici che troviamo in letteratura sono un po’ sempre gli stessi. Vedrò di elencarne un paio, giusto per inquadrare il fenomeno in modo abbastanza chiaro.
Mettiamo che tu abbia appena sentito al telegiornale di un tremendo incidente aereo o ferroviario e che tu stia per partire per un viaggio. La tua paura di volare o di prendere il treno sarà sicuramente più forte del solito sebbene le statistiche reali sui disastri siano sempre le stesse di prima.
Potresti sovrastimare o sottostimare la diffusione di una certa malattia basandoti esclusivamente sul numero di esempi presenti nella tua mente. È possibile che se conosci o hai conosciuto molte persone affette da una certa patologia tu sopravvaluti la reale portata del fenomeno solo perché il tuo cervello la vede così.
L’euristica della disponibilità nel marketing.
Partiamo con un classico. Riconoscere un certo brand. Un consumatore medio potrebbe trovarsi a scegliere il prodotto di una certa marca solo perché è particolarmente presente (e di semplice accesso) nella sua memoria. E questo a prescindere dalla qualità dell’oggetto, dalla rispettabilità di quella marca e dall’autorevolezza di quella marca in quel preciso segmento di mercato. Pensiamo alla Dyson che si occupa di aspirapolveri ma che produce anche asciugacapelli. La gente tende a preferire prodotti che ha visto spesso pubblicizzati.
Il cortocircuito sta nel pensare che averlo sentito, ricordato e citato spesso sia sinonimo di qualità, di affidabilità e di popolarità.
Questa cosa riguarda anche il passaparola. Se i tuoi amici o i tuoi parenti ti consigliano un prodotto, sei portato a dare loro credito e a fidarti del loro parere perché sono ben presenti nella tua mente e costituiscono una fonte affidabile. Poi potremmo parlare ore di quanto sia affidabile lo zio Giuseppe quando magari si parla di visori per la realtà virtuale oppure di carburatori.
Nello stesso modo puoi farti fregare anche dalle recensioni online, specialmente dai prodotti che ne hanno tantissime. Qui la fregatura sta nell’equazione “tante recensioni = media delle valutazioni più affidabile”, ci torneremo in seguito.
Possono rientrare in questa categoria anche esempi che non sono proprio “puri” ma che seguono un certo tipo di ragionamento. Pensiamo al product placement ovvero la pratica di infilare prodotti riconoscibili dal pubblico nelle scene di film e serie tv. Oppure alla tentazione che sperimentiamo quando vediamo un certo prodotto, magari anche scontato, in bella vista accanto alla cassa (impulse buying) mentre aspettiamo il nostro turno, spesso già con la spesa sul nastro trasportatore.
L’euristica della disponibilità nella disinformazione
Nel terrificante mondo delle fake news, le fregature sono il pilastro stesso, l’essenza della questione. Vediamo qualche esempio di questa euristica nella disinformazione. Saranno ovviamente un po’ mescolati, cerco di seguire un certo filo logico ma dubito poi alla fine di riuscirci davvero. Ve li beccate un po’ come capita.
Accade spesso che un post che è diventato virale su Facebook o Instagram venga riconosciuto come affidabile e “accettato da tutti come vero”. A prescindere dal fatto che sia vero o falso, verificato o meno. Tu lo vedi ovunque quindi per te è vero. Punto.
La notizia più recente ti sembra la più affidabile, si tende a dare più peso all’ultima informazione che ti è arrivata. Ti sembra più accurata e rilevante, ti sa di “breaking news” e quindi deve essere vera. Punto. A meno che non entri in gioco un altro bias, ci torneremo in seguito.
Nelle comunità online (forum, social etc) si formano le cosiddette echo chambers nelle quali una certa credenza o un certo punto di vista su una questione è prevalente sugli altri e rappresenta sicuramente (in quel contesto) la maggioranza. Le persone che frequentano quella comunità sono portate a pensare che quella credenza o quel punto di vista siano la norma e che sia condivisa da tutti. Il che li porta a sovrastimarne la veridicità.
Anche leggere solo i titoli dei quotidiani può rientrare in questo discorso, sono facilmente disponibili e si ricordano bene. Se parliamo di notizie online i titoli sono forse l’unica cosa che l’utente medio riesce a vedere mentre scrolla febbrilmente sul proprio smartphone.
Solo perché sono scritti un po’ più grandi rispetto al resto del contenuto e poi ti danno l’illusione di esserti informato… E per essere onesti capita anche quando magari guidando adocchiamo la “civetta” di un quotidiano e ci convinciamo di essere aggiornati sulle ultime notizie avendo invece letto tre parole in croce che potrebbero essere tranquillamente più fuorvianti che informative.
Succede anche quando sentiamo parlare qualcuno che racconta un avvenimento che ha vissuto in prima persona. Se conosciamo quella persona e l’abbiamo sentito spesso raccontare altri eventi, siamo più portati a pensare che il racconto sia vero anche in assenza di prove.
L’euristica della disponibilità nella vita sentimentale.
Una delle cose che, secondo me, fanno più danni della grandine nelle relazioni umane sono i paragoni. Anche perché puoi paragonare le prestazioni di due computer (e anche lì ci sarebbe da discutere parecchio) ma misurare amicizie, matrimoni, sentimenti? Boh.
Comunque viene fatto, lo fanno, lo facciamo.
Il primo problema è rappresentato dalla cosiddetta cultura popolare e di come ci vengono presentati gli standard attraverso libri, film, serie tv. Se mi propini ogni santo giorno la “famiglia del Mulino Bianco” dove tutti alle 6:40 di mattina sono fighi, sorridenti, pronti alla comunicazione, alla collaborazione, trasudano empatia da ogni poro, vincenti e raggianti io m’incazzo. Cioè: m’incazzo ma non me ne accorgo mica subito. Mi trovo un’asticella talmente in alto che qualunque altra cosa risulterà, in confronto, scadente. Coppie perfette, in armonia, gente che non sbarella mai ti fanno sentire ancora peggio quando le leggi nei romanzi o le vedi rappresentate.
E non ci sono solo la letteratura e la cinematografia a crearti termini di paragone privi di fondamento. Ci sono i terribili post/stories/update che vengono continuamente messi dalle persone accoppiate e che ovviamente non ritraggono liti, percosse, urla, pianti, silenzi che vogliono punire, vessazioni, pressioni psicologiche etc. No, i post sono sempre perfetti, allegri, spensierati. E ognuno fa questo giochino con gli altri, quindi sai bene che stai prendendo per il culo e che gli altri fanno lo stesso con te. Ma il cortocircuito del tuo cervello non te ne fa accorgere e, anche se sai che è tutta una farsa, quel modello di perfezione inesistente ti si incastra nella mente come ricordo. Ed è molto disponibile, molto ripetuto. E infatti tu ci caschi.
E poi c’è tutto il discorso relativo alle relazioni sentimentali degli amici. Per esempio: le storie, gli aneddoti, le esperienze che i tuoi amici ti raccontano sulla propria storia d’amore (o riguardo a vicende che coinvolgono loro amici) diventano a loro volta termini di paragone e di esperienza che brilla di luce riflessa.
È possibile che ti troverai a prendere decisioni per la tua situazione, sulla base di informazioni che ti si sono installate nella memoria e che provengono dai loro racconti. D’altra parte, esiste anche la peer pressure che può influenzare le tue decisioni a causa dei vari pareri espressi dalle tue amicizie, siano essi a favore o contrari alla scelta che hai loro comunicato.
Tali pareri potrebbero anche provenire da altre fonti come, per esempio, la rubrica di un giornale dove più o meno sedicenti “esperti di cuore” danno consigli rispondendo a lettere o email di (più o meno veri) lettori. La fregatura starebbe nel considerare rilevante il consiglio senza sapere nulla su quanto affidabile sia il tizio che scrive le risposte, quanto vere siano le domande, quanto simile alla nostra sia la situazione esposta nella domanda, quindi quanto adatta sia la soluzione proposta nel nostro caso etc.
Inoltre, c’è tutta una parte sui ricordi che in realtà meriterebbe un capitolo a sé. Le persone tendono a comparare il proprio partner attuale con qualunque relazione precedente, partendo dall’adolescenza e facendo paragoni assolutamente assurdi. Questo porta a giudicare la storia sentimentale (o un rapporto di amicizia, non è troppo diverso) mettendolo virtualmente accanto a uno del proprio passato e segnando le varie, inevitabili e spesso benedette differenze come se fossero dei problemi.
Fa parte di questa tragedia anche il paragone con i propri genitori e con le relazioni che i genitori hanno vissuto. A mente fredda è ovvio (spero) per tutti che un matrimonio iniziato a metà degli anni ‘60 non ha un tubo in comune con una relazione del 2024, che la società era completamente diversa, che la comunicazione era completamente diversa, i costumi, la morale pubblica, le abitudini, gli svaghi, il mondo del lavoro etc. Ma in genere non ragioni a mente fredda.
Anzi: non ragioni proprio. E ti fai fregare.
Concludo questa parte con una cosa che raramente viene citata, le breakup stories. Si tratta di una situazione in cui per esempio un amico ti racconta che la sua storia d’amore è finita e che si sta separando dalla moglie. I tuoi bias possono farti vivere questo evento in modo talmente traumatico da farti modificare il tuo comportamento nei confronti del partner, magari diventando molto cauto in alcune situazioni e, così facendo, cambiando il tuo modo di essere per paura di perdere la persona cara. Tutto questo perché il tuo cervello ti suggerisce che la fine della tua storia è praticamente inevitabile, visto ciò che è successo al tuo amico.
Potrei andare avanti ma ho tanta roba da dire e penso che le cose davvero importanti da scrivere fossero queste.
Chiudiamo dicendo che riconoscere l’Euristica della Disponibilità può essere il primo passo per mitigarne almeno in parte gli effetti. Consapevolezza e riflessione possono aiutare a bilanciare le decisioni prese in questo modo spesso sbagliato.
Mentalità critica e vera ricerca di informazioni complete permettono decisioni più informate e consapevoli perché si relega la disponibilità al ruolo che le spetta: non essere il solo ma solo uno dei tanti fattori che ci fanno interpretare la realtà che ci circonda. Mi sono dilungato perché era il primo sotto-capitolo, sarò più conciso da adesso, giuro.
Estratto da “L’arte delle fregature” di Lamberto Salucco